Il massacro della spedizione Porro


La spedizione di Porro, da“L’Epoca” del 9 maggio 1886


In questo contesto, nel 1886 partiva da Napoli la spedizione italiana diretta a Massaua guidata dal conte Gian Pietro Porro, presidente della Società di Esplorazione di Milano. Ufficialmente motivata da scopi scientifici, pare che segretamente avesse ricevuto dal governo italiano l'incarico di esplorare la zona in vista di un' eventuale spedizione militare.

A bordo della nave "Domenico Balduino", salpata alla volta di Zeila, si trovava anche Giovanni Licata, in veste di cronista per il Corriere del mattino, personalmente attirato dall'opportunità di studi naturalistici di cui si sarebbe occupato durante il viaggio.

Egli fu tra gli otto italiani (dei dodici componenti la spedizione) trucidati il 4 aprile nella pianura di Artù, presso Gidessa.

La notizia del massacro provocò forte commozione e sdegno in patria, soprattutto per la contraddittorietà dei rapporti sull'accaduto.

La responsabilità fu attribuita al maggiore Hunter, console inglese a Zeila e a Berbera, che aveva costretto la spedizione a ridurre il numero dei componenti, ad abbandonare sulla costa le armi da fuoco e a rinunciare a una scorta. La strage era stata compiuta materialmente dall'emiro musulmano Abdullha Aba esc Sciacrùr, fanatico religioso e ostile all'arrivo degli europei nella regione.



Sopra, il ritratto di G.B. Licata pubblicato su “L’Epoca” del 9 maggio 1886.
Dice la didascalia:
«Lo schizzo somigliantissimo che presentiamo ai lettori è ricavato
da una fotografia gentilmente favoritaci
dal comm. Nicola Lazzaro. Nel momento che il nostro disegnatore era intento all’opera, ha dovuto sospenderla in fretta: la povera madre del Licata (Orsola Faccioli ndr) veniva a chiedere notizie del figlio!»



Un ricordo di Giovanni

Da “L’Epoca” del 9 maggio 1886

«Ha studiato più di per sé che a scuola. S’innamorò delle scienze botaniche leggendo il Mantegazza di cui è amico e ammiratore.

Ha scritto di proprio impulso, a 19 anni, la Fisiologia dell’istinto (Ed. Delken) rivelandosi artista ed osservatore profondo dei fenomeni naturali. Redattore del Corriere del mattino, ne curò la parte letteraria con amore. In Licata è tradizionale il culto per le arti belle: la madre, il padre e un fratello (rispettivamente la vicentina Orsola Faccioli, Antonino e Augusto ndr.) esimi pittori, egli disegnatore geniale.

Per delegazione di una società manifatturiera fu in Assab per sei mesi, ove fecondò i suoi studi botanici, mineralogici e sociali - risulatato di tali studi è il suo miglior libro: Assab e i Danachili, edito dalla casa Treves.
L’escogitazione del continente nero è stato il suo ideale; ed in Napoli ha contribuito non poco all’incremento della Società Africana».



   
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Cronaca della partenza
dal Corriere del mattino
del 27 gennaio 1886

«Ieri... molti rappresentanti della stampa cittadina, corrispondenti dei giornali italiani e stranieri ed eletti cittadini si recarono a bordo del “Domenico Balduino” per salutare gli esploratori della spedizione scientifica diretta ad Harrar e stringere la mano al rappresentante di Napoli nella spedizione, all’amico nostro professor G.B. Licata. [...] Il “Domenico Balduino” salpò alle ore 6 pom. La spedizione sarà tra due settimane a Massaua; fra un mese, dunque, potremo avere le prime, interessanti lettere del nostro redattore cav. Licata, il quale terrà i lettori del Corriere a giorno di tutte le fasi del difficile viaggio, di tutti i gravi avvenimenti che si preparano».



La spedizione
dal Corriere del mattino
del 27 gennaio 1886

«Compongono la spedizione i signori: conte Pietro Porro, marchese Alessandro Trecchi e il cavaliere Cesare Rossi
della Società di Esplorazione di Milano;
il conte Cocastelli di Montiglio,
inviato della Società Geografica, il cav.
Licata, inviato della Società Africana.
Ad essi si sono aggiunti i signori:
avvocato Zannini, Bianchi Paolo,
Bianchi Diomede, Malatesta e Romagnoli,
volontari incaricati di stabilire
delle fattorie in Harrar, oltre al medico
della spedizione, il dottor Gottardi,
vi è pure un artista, il sig. Valle,
milanese».


Il percorso della spedizione

L’Harar, regione montuosa oggi compresa nei confini dell’Etiopia, è circa a metà strada tra la sponda orientale del golfo di Aden e la capitale Addis Abeba.
Si raggiungeva attraversando il Canale di Suez, navigando il Mar Rosso per tutta la sua lunghezza fino ad approdare, subito dopo Gibuti, a Zeila.
Il percorso della spedizione così è descritto da “il Popolo” del 27 aprile 1886:
«[...] Zeila, che è il punto della costa dal quale si parte per internarsi nell’Harar [...] non è che una brutta borgata di 4000 abitanti circa; il porto è cattivo, giacché i bassi fondi si estendono a circa un chilometro dalla spiaggia. Harar che è la capitale dello stato da cui prende il nome, è città di 35.000 abitanti, situata in posizione elevata e salubre nel mezzo di una fertilisima regione. Harar dista da Zeila 290 chilometri; ossia vi sono 220 km da Zeila a Gildessa e 70 da da Gildessa ad Harar. E a Gildessa che comincia la forte salita per giungere all’altipiano d’Harar ed è a Gildessa che si era diretta la spedizione.»

E così “il Piccolo” dello stesso giorno: «Da Zeila ad Harar la via è lunga 293 chilometri. [...] Per i primi 85 chilometri la via è facile ma scarsa; ed il calore che emana da quell’immensa plaga di deserto e la mancanza di acqua, la rendono alquanto disastrosa. Il rimanente cammino è difficile per le aspre e scoscese montagne che di continuo bisogna superare. [...] Gildessa è poco distante da Harar. È al confine del territorio dei popoli Somali: è punto di fermata delle carovane che portano a Zeila i prodotti dell’Harar e ne riportano. Lungo il confine dei Somali un sentieruolo si inoltra per quelle irte e difficili chine e diventa in molti punti angusto e periglioso. [...] Là presso quel confine successe l’eccidio. Da Gildessa ad Ego la via è faticosa ma breve, da Ego ad Harar non sono che 7 ore di cammino. I nostri viaggiatori, come vedete, erano quasi presso la loro meta.»